
Forse non tutti sanno che il Titanic era già affondato una prima volta.
Ben 11 anni prima che ne cominciasse la costruzione!
Naturalmente non nella realtà, ma nella fantasia dello scrittore
Morgan Robertson, autore di molti racconti a tema marinaro.
Il suo romanzo del 1898
Futility, che potete trovare
qui nell'edizione integrale del 1912, o in
questa pagina del Progetto Gutemberg, racconta infatti l'avvincente storia del Titan, senza "ic", la più grande nave del mondo, considerata inaffondabile. Sfortuna volle però che il Titan affondasse invece ad opera di un iceberg, nel nord Atlantico.
E le similitudini fra il Titan di Robertson e il Titanic della White Star Line non finiscono qui:
Costruzione:
- Il Titan viene costruito in Inghilterra.
- Il Titanic fu costruito in Gran Bretagna, a Belfast
Gli Inaffondabili:
- Il Titan è la più grande nave del mondo: 244 metri di lunghezza per 45.000 (70.000, ed. 1912) tonnellate di dislocamento, considerata "inaffondabile".
- Il Titanic era il più grande transatlantico del mondo: 269 metri di lunghezza per 52.000 tonnellate di dislocamento, considerata "inaffondabile".
Eliche e propulsione:
- Il Titan è euipaggiato con 3 eliche e due alberi, mossi da 40.000 (75.000, ed.1912) cavalli vapore.
- Il Titanic era euipaggiato con 3 eliche e due alberi, mossi da 46.000 cavalli vapore.
Compartimenti stagni:
- Il Titan ha ben 19 compartimenti stagni, fornite di 92 porte stagne.
- Il Titanic aveva 16 compartimenti stagni.
Le scialuppe:
- Il Titan porta "il minimo legale" di 24 scialuppe, meno della metà necessarie per le 3.000 persone imbarcabili.
- Il Titanic portava 20 scialuppe, meno della metà necessarie per le 3.500 persone imbarcabili.
La nave e l'iceberg:
- Il Titan colpisce un iceberg a tribordo, a 25 nodi di velocità, a 400 miglia da Terranova, verso la mezzanotte.
- Il Titanic colpì un iceberg a tribordo, 23 nodi di velocità, la notte del 14 aprile 1912 nel nord Atlantico, a 400 miglia da Terranova, alle 23.40.
L'affondamento:
- Il Titan affonda, portando con sé praticamente tutte le 3000 persone a bordo.
- Il Titanic affondò intorno alle 2.20 del mattino del 15 aprile, con 1517 dei 2207 passeggeri.
Preveggenza?
Qui, si fermerebbe l'articolo alla ricerca di scoop, il sensazionalista, il cospirazionista.
La vaccinazione fornitaci da anni di complottismo undicisettembrino ci impone però di ragionarci sopra. Vediamo un po', dunque, come potrebbero essere andate le cose.
Qui infatti finiscono le analogie. E cominciano le divergenze fra le due navi che evidenziano un vistoso
difetto di selezione negli elementi da considerare.
- Il Titan del romanzo utilizza delle vele per aumentare la velocità, come si usava all'epoca della stesura del romanzo. Il Titanic non aveva vele di sorta.
- Il Titan è immaginato come una nave unica al mondo, mentre il Titanic era una di una serie di tre navi gemelle.
- Il Titan, nel romanzo, stava percorrendo il viaggio di ritorno verso Liverpool della sua terza traversata atlantica, mentre il Titanic si trovava all'andata da Southampton verso New York del suo viaggio inaugurale.
- Il Titan urta e affonda un'altra nave, prima di colpire il ghiaccio, mentre il Titanic fu prossimo a un incidente con la New York, ma non la colpì affatto.
- Il Titan urta il suo iceberg in mezzo alla nebbia ma rischiarato dalla Luna e non, come il Titanic, in una notte limpida ma senza Luna.
- Ciò che urta, inoltre, è una banchisa formatasi in seguito al ribaltamento del ghiaccio, sul quale la nave si solleva fino a ricaderle al fianco.
- Dei passeggeri del Titan sopravvivono solo 13 persone, mentre ben 705 persone furono salvate dal Titanic.
- Il Titan affonda quasi istantaneamente, mentre il Titanic impiega 2 ore e 40 minuti ad affondare.
Ma c'è di più. Quanto era difficile
immaginare invece di
prevedere alcuni di questi elementi, per l'autore del romanzo?
Robertson è figlio d'un capitano e conosce bene le navi e il mondo della navigazione.
Vuol scrivere una bella storia, vuol raccontare l'affondamento della più grande nave del mondo e vuole una vicenda avventurosa, nella quale un marinaio coraggioso salva una ragazzina dalla morte certa.
L'Inghilterra era, all'epoca, di gran lunga il maggior paese costruttore di navi transatlantiche. Dunque, nulla di strano nella cantieristica.
Data la sua preparazione, Robertson sarà dunque in grado di inventarsi la misura per la "più grande nave del mondo": oltre 200 metri di lunghezza. Sbaglia un po', in eccesso, col peso, ma il suo scopo è far sensazione, mica risparmiare carburante.
E' uno scrittore, mica un ingegnere.
Come la chiamiamo la più grande nave del mondo?
"Pollicin"? No. Suona male!
Guarda caso, poi, qualche anno prima della stesura di "Futility" è affondato un "Titania", in circostanze non molto dissimili.
"Unsinkable - indestructible, she carried as few boats as would satisfy the laws", scrive Robertson: la nostra nave immaginaria è inaffondabile, dunque, a che servono le scialuppe? Mettiamoci il minimo legale. Un po', purtroppo, il ragionamento che fecero alla White Star anni dopo.
Sapeva bene l'autore, poi, che la rotta battuta dai transatlantici di quegli anni è, in primavera e in particolare nel mese di aprile, resa molto pericolosa dalla presenza degli iceberg al largo della Groenlandia: era questo l'incubo di tutti i naviganti che si trovavano ad affrontare la rotta nordatlantica.
E sa ovviamente che le rotte dei transatlantici vanno dai porti inglesi, Southampton, e Liverpool in primo piano, a New York e viceversa.
Inoltre, il titolo originario del romanzo era, nell'edizione del 1898, solo "Futility", cambiato poi in "The Wreck of the Titan, or Futility", a sottolineare il nome della nave, solo nell'edizione del 1912.
Vista così già la questione suona un po' diversa: un eclettico scrittore, un Tom Clancy del XIX secolo (ricordiamo "Debito d'onore", in cui si immagina un attentato compiuto da un pilota kamikaze che schianta il suo 747 sul Campidoglio), che ambienta in modo quanto più realistico possibile le vicende avventurose che vuole narrare.
In altre parole, a volte, semplicemente, la finzione preannuncia la realtà.
E l'insegnamento, il vero insegnamento da trarre dalla fantasia di Robertson, come da quella di Clancy, è di non sottovalutare il nostro avversario.
Sia esso la forza della natura sia un barbuto ometto convinto di lottare per la gloria di Allah.