Ci sono vicende umane che spezzano il cuore.
Accidenti se è difficile mettersi nei panni dei genitori di
Julianna Snow. C'è da rimetterci il cuore, oltre che il senno, specialmente se, come il sottoscritto, si è proprio nelle condizioni di essere padre di una piccola frugoletta.
Che una notizia simile scatenasse una polemica oltre i limiti del putiferio era prevedibile e scontato.
La scelta della bimba di rinunciare alle cure, alla prossima crisi respiratora, e preferire l'opzione di "andare in paradiso" è stata condizionata senza alcun dubbio dalla descrizione del paradiso fatta dai genitori come un luogo ove non avrebbe più dovuto soffrire e avrebbe potuto vivere una vita normale, come quella del fratellino e degli altri bambini. D'altra parte, i genitori hanno anche avuto la delicatezza di insistere sul fatto che non avrebbero potuto più passare il tempo tutti insieme e che lassù non avrebbero potuto seguirla, non subito almeno.
Non è difficile rendersi conto che una bambina di cinque anni non ha
la maturità e l'esperienza necessarie a comprendere e metabolizzare
adeguatamente l'idea della morte. E non possiede ancora razionalità
sufficiente a capire che può sì
sperare in una vita migliore
dopo, ma può pure essere che dopo ci sia solo il buio e il nulla.
Ma cosa si dovrebbe mai dire a una figlia destinata comunque presto a morire? Destinata non solo a non poter mai fare una corsa nei prati col fratellino o gli amici, ma anche a non poter "diventare grande", a non studiare e lavorare, a non sognare e vedere infranti i suoi sogni, a non soffrire e gioire, a non innamorarsi e farsi una famiglia, a non diventare mai mamma lei stessa?
Cosa le si può offrire se non il proprio Amore e la speranza di non spegnersi nel nulla?